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Avventura in mezzo alla savana con una Nikon D700,
un MacBook Nero ed un Apple iPhone.

Rivista: Applicando
Data pubblicazione: Dicembre 2009

Pillolibri

Marianna Santoni e Davide Vasta in KenyaDue collaboratori di Applicando, Davide Vasta e Marianna Santoni, lo scorso settembre sono partiti per il Kenya, armati di una Nikon D700, un MacBook Nero, un iPhone, e tanta voglia di esplorare un pezzo d’Africa. Il risultato è in queste pagine: un racconto fotografico, che gli autori hanno deciso di condividere con i lettori di Applicando.

 

Ogni viaggio non è un viaggio se non ti cambia.
Il Kenya un po’ ci ha cambiati in tante cose, piccole e grandi, ma non è riuscito a farlo sul fronte tecnologico… così, nel bene o nel male… ci siamo ritrovati anche lì, in mezzo a elefanti, mangrovie e canoe, circondati con la nostra buona dose di tecnologia. Lo scopo era riuscire a cogliere un pezzetto d’Africa e divertirci a raccontarla agli altri attraverso i nostri occhi.
In quest’articolo cercheremo dunque di restituirvi almeno un po’ del “nostro” Kenya…

 

L’attrezzatura

Da quando la fotografia digitale si è diffusa massicciamente in tutti gli strati sociali e a tutti i livelli di competenza, sempre più spesso capita di sentire le lamentele di alcuni che dicono “meglio poche foto, ma buone”. In questo viaggio noi non volevamo rinunciare né alla qualità né alla quantità. Per questa ragione non abbiamo lesinato né sulla qualità delle attrezzature, né in quanto a capacità di memorizzazione, poiché ogni dettaglio, ogni momento, avrebbe sicuramente meritato almeno una bella foto. Poiché non sempre avremmo avuto la possibilità di scaricare le foto quotidianamente, la prima cosa è stata quella di dotarci di un gran numero di card di memoria, oltre ad alcuni hard disk esterni sui quali conservare backup di sicurezza. Complessivamente avevamo portato 8 Compact Flash (con capienza da 2 ad 8 Gbyte), da utilizzare con la nuova reflex Nikon D700, peraltro al tempo appena uscita sul mercato italiano. La scelta della fotocamera si è poi rivelata davvero azzeccata per due ragioni fondamentali: la gamma inimmaginabile dei 14 bit ed un corpo macchina piacevolmente leggero e maneggevole.
Per quanto riguarda le ottiche, abbiamo scelto di portare con noi tre obiettivi: il 24-120 mm 3.5-5.6 in dotazione, un Tele 70-200 2.8, e per il safari un super tele 400 mm 2.8. Insieme al corpo macchina abbiamo portato anche il modulo wireless Nikon WT-4 (di cui abbiamo parlato su Applicando di novembre 2008), che si è dimostrato molto utile, oltre che divertente, durante il safari. Non ci siamo fatti mancare anche una “compattina” efficiente, la Canon Digital IXUS 950 IS, da tenere sempre in tasca, pronta in un attimo e da utilizzare nei momenti di “relax”. A corredo di questa 3 SD da 2 GB ciascuna e l’inseparabile GorillaPod, treppiede snodato e leggerissimo.

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta Nikon

Per poter visionare e memorizzare la mole di foto prodotte abbiamo scelto di utilizzare un MacBook Nero, sostanzialmente per via delle sue dimensioni contenute… non potendoci permettere per l’occasione un Mac Book Air!. Il processore a 2.0 GHz e i 2 GB di Ram ci hanno però permesso di utilizzare Adobe Photoshop CS3 e Adobe Lightroom 2 senza alcun problema, per controllare e pre-selezionare ogni sera i risultati della giornata. Per quanto riguarda le memorie di massa, il MacBook era dotato di un hard disk da 120 Gbyte. Per ogni evenienza abbiamo portato anche un hard disk firewire Lacie All Terrain da 320 Gbyte ed uno da 500 Gbyte. In questo modo abbiamo avuto la possibilità di creare giorno per giorno a scopo precauzionale due backup di tutte le immagini, tenuti in posti diversi, nel caso in cui uno qualunque dei tre supporti si fosse danneggiato, o peggio fosse andato perduto. Non poteva mancare al corredo un iPhone, che si è rivelato molto utile per via del suo GPS. Infatti, non essendo equipaggiati con il kit GPS che si può utilizzare con la Nikon D700, avevamo pensato di taggare le fotografie con le coordinate satellitari utilizzando un programma specifico per iPhone (GPS Kit) in modo da memorizzare le zone di scatto principali e trasferire poi le relative coordinate gps sulle singole immagini, per poterle geolocalizzare anche in seguito. Poiché sapevamo che non sarebbe stato facile ricaricare spesso le batterie dell’attrezzatura, ci siamo dotati di un trasformatore per auto (Kensington Power Inverter 150), in grado di erogare 230 Volt. In questo modo, durante i lunghi trasferimenti in furgoncino in pieno safari, abbiamo potuto ricaricare le batterie di tutta l’attrezzatura, collegandole alla presa accendisigari. Per quanto riguarda le prese di corrente invece, in Kenya viene usato lo stesso sistema inglese, bisogna quindi dotarsi semplicemente di un adattatore per le prese: il SWA1 della Swiss Travel Products ha fatto al caso nostro. Trattandosi di un reportage fotografico, alla parte video è stata data poca rilevanza; ci siamo portati dietro una Videocamera Mini DV SONY SCR-100, che sebbene non recente, ha svolto egregiamente il suo lavoro di documentazione.

 

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta NikonL’arrivo a Mombasa e il trasferimento in autobus
Partiti da Milano il 5 settembre atterriamo dopo 7 ore di viaggio all’aeroporto internazionale di Mombasa. In fase di atterraggio ciò che colpisce dall’alto è il mix energetico dei colori complementari dato dalla vegetazione verdissima e dalla terra rossa, rossa davvero… che tutto a un tratto si interrompe lasciando spazio alla città. L’aeroporto è molto ben curato, ma è curioso vedere come l’intera struttura sia costruita per lo più con i “foratini”, i mattoncini bucati che normalmente in Italia si possono osservare nei vecchi granai. All’uscita dall’aeroporto un gruppo di portantini ci si affolla letteralmente addosso per aiutarci a trasportare i bagagli, in cambio di una mancia. In pochi minuti saliamo a bordo dell’autobus pronto a portarci verso la nostra destinazione: una struttura ricettiva situata a sud, sulla costa, vicino la cittadina di Watamu.
Appena lasciato l’aeroporto, l’ordine, la pulizia (e il grigiore dell’asfalto) evaporano gradualmente e, poco a poco la strada incatramata diventa una carrareccia polverosa.
Gli edifici chilometro dopo chilometro, diventano sempre più bassi e piccoli e i palazzi in cemento vicino all’aeroporto lasciano lo spazio a miriadi di casupole sempre più piccole e povere, strette le une alle altre.
I 120 chilometri che separano Mombasa da Watamu si sviluppano attraverso una strada, l’autostrada Mombasa-Malindi, poco più larga di una normale strada provinciale italiana, per lo più fatta di breccia, terra e buche. La velocità media dell’autobus è bassa, e occorreranno ben altre 4 ore per arrivare a destinazione.
Le sette ore di viaggio in aereo in classe turistica ci appaiono presto un bel ricordo, paragonate al viaggio in autobus. La “scomodità” del viaggio è però ripagata in toto dagli scenari che si ammirano dai finestrini.
Fin dai primi minuti appare evidente che ogni attività in Kenya si svolge all’aperto. Lungo le strade e ai loro bordi osserviamo mercati coloratissimi, meccanici di auto e bici, autovetture che si infilano in ogni dove strombazzando allegramente, persone alla guida di bici-autocarri straripanti di sacchi o passeggeri… Dalle abitazioni, al ciglio, alla strada è tutt’un susseguirsi di persone, alcune camminano, altre salutano, altre siedono pacifiche, alcune riposano sdraiate. Nessuno corre. Una delle prime lezioni che impareremo dal Kenya sarà il semplice fatto che “noi abbiamo gli orologi, ma loro hanno il tempo”.
Dal finestrino iniziamo a far “ambientare” anche le fotocamere e i primi scatti prendono luce, nel vero senso del termine: Marianna con la D700, Davide con… l’iPhone! In entrambi i casi la luce folgorante dell’Africa risolve ogni rischio di mosso, temuto soprattutto a causa dei sussulti costanti del bus. Per affrontare il tutto con il teleobiettivo e congelare perfino i tratti di strada più turbolenti, la D700 ci permette di alzare senza riserve gli ISO, in modo da poter accorciare il tempo di posa il più possibile per ridurre i rischi del mosso, e chiudere il diaframma oltre F8 per evitare foto sfocate. Anche agli ISO più elevati la D700 restituisce immagini di una nitidezza meravigliosa.

 

Le formalità all’arrivo
Arrivati a destinazione, ci viene fatto un piccolo briefing dal responsabile della struttura su come “funzionano” le cose in Kenya, su cosa è bene fare e cosa invece va evitato. Subito dopo prendiamo posto nella nostra stanza: il letto ha un caratteristico baldacchino in legno coperto da una fitta retina bianca antizanzare per proteggere dal rischio di Malaria. In realtà settembre è considerata una stagione secca per cui di zanzare ce ne sono poche, ma la profilassi antimalarica è sicuramente da consigliare, e garantisce una buona copertura. Nel nostro caso, dopo aver consultato diversi pareri, abbiamo optato per il Malarone, un farmaco che si assume in pillole e  con effetti collaterali pressoché inesistenti. Appena presa confidenza con il luogo facciamo amicizia con altri “viaggiatori” e iniziamo a pianificare le varie escursioni, prima tra tutte la visita alla foresta di mangrovie. Per le escursioni giornaliere, invece che appoggiarci ai tour operator ufficiali, optiamo per i cosiddetti beach-boys, persone del luogo che offrono visite guidate verso le mete più varie, a prezzi competitivi, anche per gruppi molto ristretti. I nostri magnifici referenti (Mohamed e Sule) parlavano perfettamente italiano, e ci hanno permesso di visitare e fotografare luoghi davvero speciali.

 

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta NikonLa foresta di mangrovie
Una delle prime escursioni è la visita delle verdi foreste di mangrovie, a bordo delle canoe tipiche dei pescatori, chiamate Kidau. Queste canoe, realizzate scavando il tronco di un albero, sono molto piccole, accolgono non più di due passeggeri alla volta e… sono preoccupantemente instabili! Per questo motivo vengono “guidate” da due persone: la spinta e il timone sono appannaggio di una persona posta dietro la canoa, mentre davanti si trova un'altra persona in piedi, che controbilancia con il suo corpo l’inclinazione della canoa. Quasi del tutto immersi nel fiume ci divertiamo a fare scatti e riprese a pelo d’acqua. Tutt’intorno a noi le mangrovie: piante bagnate indifferentemente da acque dolci o salate e caratterizzate da lunghe radici che fuoriescono dall’acqua. Sulle rive del corso d’acqua c’è un trionfo di flora e fauna: i beach-boys ci mostrano il granchio tipico delle mangrovie, chiamato "granchio arcobaleno" (Cardisoma armatum), dotato di una chela di dimensioni spropositate, usata sia per difesa che per l’attacco, ed il pesce anfibio chiamato Mangrove Killifish che vive per mesi sulla terraferma rifugiandosi tra gli alberi di mangrovie nei periodi di siccità grazie alla sua capacità di respirare attraverso la pelle.

 

Sudi Island e le maree
Durante il periodo estivo le coste kenyote sono caratterizzate da un rapido susseguirsi di alta e bassa marea: una cosa che abbiamo sperimentato in prima persona! La seconda destinazione è incentrata su un tratto di costa dove sorge Sudi Island; un isola che può essere raggiunta a piedi, camminando su un lembo di sabbia.
L’esperienza è a dir poco insolita. Prima di arrivare i beach-boys, ci parlano a lungo di questo posto come di una delle spiagge più belle del Kenya. Una volta arrivati a destinazione ci guardiamo intorno chiedendoci dove sia finito il mare. Davanti a noi si vede a perdita d’occhio una distesa apparentemente infinita di piattissima sabbia. Iniziamo a passeggiare sulla sabbia umida accompagnati dalle nostre guide, nel frattempo i ragazzi del luogo ci raccontano le loro storie e ci fanno fare la conoscenza dei pescatori che incontriamo lungo il tragitto. Uno di loro ci mostra da vicino un pesce palla, che non appena estratto dall’acqua si gonfia, diventando come un pallone da rugby! In queste zone la pesca è uno dei principali mezzi di sostentamento (dopo il turismo), e quando il mare aperto è particolarmente mosso, i pescatori possono comunque andare a pesca tenendosi all’interno della barriera corallina, dove l’acqua è quasi del tutto calma. Dopo un paio l’acqua inizia a salire, salire, salire fino a superare i costumi,  e finiamo dobbiamo affrettarci a tornare sulla terra ferma, sostenendo le attrezzature in alto al riparo dall’acqua.

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta Nikon

Il safari al parco Tsavo Est
Arriva il finalmente il giorno del safari fotografico al parco Tsavo est: tutto il viaggio è stato progettato fin dalla partenza  in funzione di questo momento… e tutte le escursioni dei giorni precedenti, seppur bellissime, finiscono per apparirci un assaggio “propedeutico”. L’Africa offre molti parchi nazionali nei quali è possibile fare safari. In alcuni di questi ci sono maggiori possibilità di osservare specie diverse come ad esempio nel Masai Mara, che proprio nei mesi da settembre fino a dicembre pullula di vita per via delle migrazioni. Al di là del parco e del periodo scelto una cosa è certa: tutti sperano sempre di riuscire a vedere i cosiddetti Big Five: il leone, l’elefante, il leopardo, il rinoceronte e il bufalo. La fortuna gioca un ruolo di rilevo, ma la vera differenza è legata all’esperienza della guida alla quale ci si appoggia per visitare il parco. Si tratta nella maggior parte di “autisti” locali che viaggiano attraverso i parchi tutto l’anno, anche per intere settimane, e conoscono molto bene la natura, gli animali, le loro abitudini, gli spostamenti e gli orari migliori per catturarli ”fotograficamente”.
L’ingresso al parco è un momento a dir poco emozionante. L’accesso è sbarrato con guardie armate e ostacoli sia per gli animali sia per le persone in entrambe le direzioni. La nostra guida (Patrick Charo), come in un rituale, ferma il furgoncino prima di entrare, spegne il motore e ci istruisce su cosa cambia all’interno del parco: da quel momento fino all’arrivo al campo tendato non potremo scendere dal mezzo e per tutti i due giorni dovremo parlare a bassa voce per non disturbare gli animali. Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta Nikon

Qui gli ospiti siamo noi e dobbiamo cercare di essere graditi. Dopo aver varcato il cancello d’ingresso, il mezzo (un piccolo furgone con il tetto totalmente aperto) inizia la sua corsa in mezzo alla savana asciutta, sconfinata a perdita d’occhio, su una strada irregolare di terra rosso vivo. I nostri sguardi iniziano a perdersi curiosi alla ricerca di qualunque forma di vita. In effetti lo Tsavo è il più grande parco del Kenya, con oltre 23.000 km quadrati di estensione (pari a circa all’intera Toscana). Dopo qualche chilometro la guida si ferma per indicarci la presenza di alcuni Impala a breve distanza: malgrado le sue indicazioni molto accurate abbiamo enormi difficoltà a individuarli… capiamo subito quanto la nostra vista “occidentale” non sia affatto sensibile a questo ambiente e che se riusciremo ad avvistare qualcosa sarà solo merito di Patrick. Il primo vero contatto con la possenza di questa natura avviene però quando ci imbattiamo in un branco di elefanti, che si stanno abbeverando su una grande pozza. Patrick ferma il mezzo a una distanza sicura, ma sufficientemente vicina per permetterci di osservarli. Marianna monta sulla D700 il teleobiettivo 400mm 2.8 fisso: un “giocattolino” che pesa circa 6 kg. Purtroppo i movimenti sono davvero limitati e all’inizio ci ritroviamo a dover fronteggiare un grosso problema con le inquadrature: l’obiettivo a focale fissa unito all’impossibilità di scendere dal furgone o di fare con questo dei fuori pista, finiscono per farci ritrovare soffocati da inquadrature claustrofobiche. Non potendo mai cambiare il rapporto tra le distanze infatti, sembra impossibile riuscire a comporre una buona inquadratura, e gli animali si ritrovano spesso ad essere o troppo lontani da non valere lo scatto o troppo vicini, da ritrovarsi con le zampe mozzate.
Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta NikonDopo un po’ Patrick comprende il nostro problema, ed inizia ad usare il furgoncino come un grande zoom, spostandolo avanti e indietro fino a raggiungere l’inquadratura ideale.
Durante l’osservazione degli elefanti, Marianna effettua numerosi scatti e il modulo wireless WT-4 ci consente di procedere spediti senza interruzioni, e soprattutto permettendoci di monitorare immediatamente gli scatti, attraverso un ampio preview delle immagini, per cercare di ottenere una profondità di campo il più estesa possibile, ma senza correre il rischio di foto mosse. Durante tutto il safari le foto vengono trasmesse direttamente ad una cartella predefinita nel MacBook. Il software Nikon Thumbnail Selector ci offre un’anteprima piccola, ma davvero immediata degli scatti, mentre Lightroom, configurato in modo da importare le immagini automaticamente nella Library in tempo reale, ci permette di avere visione di una grande anteprima di ogni scatto e di effettuare immediatamente una prima selezione degli delle foto migliori. L’utilizzo del modulo wireless permette inoltre di non dover mai scaricare la card, giacché viene impostato affinché non appena una foto è stata efficacemente trasferita al computer, la stessa viene subito cancellata dalla memoria CF della fotocamera. Questa impostazione si è rivelata vitale per il safari, poiché gli animali non “aspettano”, e durante il tempo di trasferimento delle card, seppur breve, si possono perdere situazioni… davvero imperdibili.
Al termine della prima giornata rientriamo al Galdessa Camp, un “lodge” nel bel mezzo del parco, dove ci fermiamo per il pernottamento. I lodge sono strutture perfettamente integrate nell’ambiente di solito situate in punti di interesse particolarmente suggestivi, per l’osservazione degli animali nel loro habitat naturale. Il Galdessa è uno dei più esclusivi: si trova lungo uno dei corsi d’acqua principali verso il quale convergono tutti gli animali della zona per abbeverarsi. Come tutti i campi tendati non ha alcuna recinzione, e le stanze altro non sono che dei lussuosi gazebi, completamente aperti da tutti i lati. Tutti gli animali passano indisturbati in mezzo a queste strutture protette semplicemente dalla guardia dei guerrieri Masai, presenti 24 ore su 24. Al nostro arrivo, veniamo accolti da “Tusker”, un gigantesco elefante che ha eletto domicilio nel campo! Per via della presenza costante di animali liberi in questi campi non è consentito muoversi da soli, come faremmo in qualunque altro albergo. Tuttavia non ci sono rischi che qualcuno trasgredisca la regola: sapere che sul viottolo fuori dalla propria tenda si può incontrare un leone a spasso, è già sufficiente a disincentivare gli spostamenti! Per muoversi o per qualunque necessità, basta soffiare in un fischetto che viene dato in dotazione ad ogni ospite: in men che non si dica arriva un Masai, pronto a difendere e a scortare gli ospiti!

 

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta NikoniPhone e MacBook: collaborazione perfetta
L’iPhone ed il MacBook Nero si rivelano per tutto il viaggio compari all’altezza della situazione. Come detto all’inizio, l’iPhone viene utilizzato primariamente per il geotagging delle fotografie. Tra i vari sofware disponibili al momento della partenza sull’App store, GPS Kit era il più completo e adatto alle nostre esigenze. C’è da dire che in alcune zone del Kenya abbiamo avuto qualche difficoltà ad agganciare il segnale dei satelliti, ma il programma poi ha funzionato sempre correttamente. La possibilità di nonimare i waypoint senza limitazioni di sorta, ci ha permesso di organizzare meglio le varie zone di scatto. Raggruppando sotto nomi comuni le principali specie (zebre, elefanti, gazzelle, ecc.) possiamo associarle rapidamente alle principali aree nelle quali le individuiamo. Avendo sincronizzato perfettamente l’orario interno della fotocamera e dell’iPhone, l’associazione dei waypoint alle numerose immagini, diventa un’operazione rapida e facile. Poiché però GPS Kit prevede l’esportazione dei singoli waypoint memorizzati solo tramite e-mail, tutta la procedura di associazione viene rimandata al nostro rientro in Italia. Dal punto di vista delle connessioni Internet, il Kenya è infatti offre poche opportunità: generalmente gli Internet Point sono dotati solo di una linea 56 Kbit, la connessione ADSL è appannaggio solo di alcune delle più grandi città, ed in ogni caso, le velocità consentite sono ben al di sotto di quelle standard italiane. Per quanto riguarda la rete cellulare invece è presente quasi esclusivamente lo standard GSM, senza possibilità di utilizzare connessioni dati.
Il MacBook dal canto suo è risultato uno strumento estremamente versatile per tutta la durata del viaggio. La durata media della batteria consente lunghe sessioni di utilizzo, durante il safari, anche con il wireless acceso. Le alte temperature, ed in alcuni casi l’elevata umidità, non provocano mai significativi problemi al suo utilizzo. La possibilità di collegarsi direttamente a dischi esterni Firewire (non più possibile nell’ultimo modello di MacBook) consente per tutto il viaggio l’utilizzo diretto dei dischi esterni Lacie Rugged All-Terrain. La scelta di questi hard disk si rivela ottima anche e soprattutto per via della loro robustezza, e del rivestimento esterno in gomma antiurto e antiscivolo, che durante un’escursione di questo tipo offre ulteriori garanzie di sicurezza.

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta Nikon

Nikon D700: il battesimo della nuova nata
La fotocamera, una fiammante Nikon D700, si è dimostrata all’altezza della situazione in ogni momento. Le immagini sono state scattate in formato NEF + JPEG, per poter avere l’originale RAW a 14 bit ed un’immagine subito disponibile per visionare velocemente gli scatti (al tempo non era ancora uscito l’aggiornamento di Lightroom che consentiva di aprire i file RAW della nuovissima D700). A livello operativo abbiamo avuto modo di apprezzare particolarmente la durata interminabile delle batterie, cruciale durante le lunghe giornate di escursioni, e la funzione di “bolla” per l’orizzonte, utilissima per effettuare scatti dritti nelle larghe panoramiche terra-cielo. Oltre a questo, una menzione speciale va al sensore della fotocamera, che usando un formato pieno con una risoluzione inferiore (12 megapixel) rispetto ad altre concorrenti, restituisce immagini anche in condizioni di scarsa luminosità con un livello di rumore bassissimo. La velocità di memorizzazione delle immagini, insieme all’utilizzo di una CF da 8 Gigabyte San Disk Extreme IV, ha consentito scatti multipli consecutivi in formato RAW anche nelle situazioni più dinamiche.

 

La postproduzione
Rientrati in Italia ci tuffiamo nell’editing delle immagini: scegliendo gli scatti più rappresentativi e suggestivi della vacanza.
Trattandosi di scatti di reportage non è nostra intenzione ritoccare le immagini o effettuare una vera e propria post-produzione, per cui Lightroom ci consente di portar a termine l’intero flusso di lavoro senza quasi aprire Photoshop.
Il fluido duettare di Lightroom e Photoshop risulta invece strategico per le funzioni legate all’HDR e alle panoramiche.
Tutti gli interventi localizzati e i miniti ritocchi legati alle macchie del sensore vengono invece portati a termine con Lightroom 2… evitando elaborate post-produzioni a livelli in Photoshop.
Riuscire a selezionare per questo articolo poche foto rappresentative da così tanti scatti avrebbe richiesto un giorno intero se non avessimo utilizzato le comodissime graduatorie basate su stelle e le keyword inserite durante la fase di classificazione degli scatti.

Safari in Kenya Marianna Santoni Davide Vasta Nikon

Cosa portiamo a casa…
Dopo aver fatto questa esperienza abbiamo capito cosa è il “mal d’Africa” di cui tanti parlano. Questo paese è in grado di scuotere tutti i sensi come un terremoto, e una volta rientrati in Italia il pensirero corre subito al prossimo viaggio.
Dal punto di vista umano ci ha colpito il modo sereno e semplice di prendere la vita dei kenyoti. Le prime parole che si imparano in quel paese sono “akuna matata” (nessun problema) e “pole pole” (piano piano)… e tutto ciò per loro è davvero una filosofia di vita. Noi, turisti “in vacanza” eravamo mille volte più stressati di di loro….

Detto questo, vorremmo dare alcune raccomandazioni per chi voglia organizzare un proprio viaggio in Kenya. Sin da subito si comprende che le mance muovono tutto in Kenya. In alcuni casi però si tramutano in estorsioni autorizzate… soprattutto quando a richiederle non è la povera gente, ma i funzionari governativi. Da questo punto di vista bisogna prepararsi psicologicamente per il momento della partenza e dell’arrivo: in aeroporto, chiunque, dagli ufficiali dei passaporti, agli agli addetti al controllo bagagli, a quelli del check-in, chiederanno un “regalo”, per “snellire” le pratiche, e in molte circostanze non sarà facile dire loro di no. Per quanto riguarda invece l’organizzazione del viaggio, è fondamentale scegliere delle guide del posto che siano davvero brave, preparate e disponibili e raccontare con passione quello che sanno. Le agenzie internazionali offrono garanzie di sicurezza che possono fare da leva psicologica nella scelta, ma spesso ci si ritrova a pagare troppo per un servizio tutto sommato standardizzato, molto turistico e pieno di cliché. I beach-boys invece, superato il primo momento di naturale sfiducia, si dimostrano persone davvero uniche, e a prezzi molto concorrenziali sono in grado di organizzare escursioni spesso migliori delle agenzie, coperte da assicurazione. Ovviamente la scelta non è facile, perché i beach-boys sono davvero tantissimi, e tendono ad insistere con i turisti, (sempre in modo molto garbato), spesso fino allo sfinimento! L’ultimo consiglio riguarda il cosa portare. La gente del posto ha bisogno di molte cose: dal vestiario, alle scarpe, alle medicine. Riempire la valigia di abiti da sera e completi eleganti non ha alcun senso. Molto meglio portare poche cose (visto che poi il clima è perfetto, specialmente in estate), lasciando spazio per tutte quelle cose che a casa non mettiamo più. Saranno regali graditissimi per la gente del posto! Last but not least, vorremmo ringraziare di cuore Giuseppe Maio di Nikon Italia, l’azienda FCF di Milano e ovviamente Applicando!